Il signor Rossi torna a parlare di Costituzione. Un "libretto tascabile" di cui tutti conoscono l'esistenza ma dimenticano la trama. E' quindi un ottimo spunto per uno spettacolo, un classico, solo più contemporaneo di Shakespeare o Molière. Così Paolo Rossi annuncia la seconda stagione della sua "adunata popolare di delirio organizzato" che ripartirà dall'Ambra Jovinelli di Roma il 18 novembre e che fino a maggio porterà in giro per l'Italia.

Rossi diventa serio quando sottolinea che il problema in Italia è culturale prima che politico: "La campagna elettorale è cominciata molto prima della fondazione del partito ora al governo, dagli anni 80 quando in tv sono passati i modelli di edonismo, consumismo e arroganza che non appartengono alla nostra cultura e che hanno provocato una notevole perdita di memoria storica. Il regime ha agito prima sui valori, sulla memoria e poi su tutto il resto".

E difende lo spazio teatrale rispetto alla satira televisiva. "Il teatro è ancora uno spazio libero dove si riuniscono persone vive che si raccontano, ascoltano, ridono. Persone che sono uscite di casa per partecipare a una sorta di rito collettivo che porta a scambiarsi opinioni, a parlarne e quindi a riflettere su quanto si è detto. Il teatro ha una sua potenza, forse più lenta perché non si rivolge a milioni di telespettatori, ma sicuramente più efficace". Certo, aggiunge, "il teatro è una dittatura allegra, e sono io al comando. Quindi sono io che decido le regole, ma durante i miei spettacoli si discute in sala, e posso anche celebrare matrimoni". Lo spettacolo consiste nella "semplice" lettura della Costituzione, ma cambia a seconda della città che lo ospita o dai fatti di cronaca più recenti che riguardano il tema trattato. Per esempio il rientro dei Savoia ("ma era solo un'appendice"), oppure l'articolo 1 sul lavoro che a Napoli è durato più di mezz'ora mentre l'articolo 6 sulle minoranze linguistiche è stato ampiamente dibattuto a Bolzano.

"Viviamo in un momento storico particolare - spiega l'autore - Partendo dal presupposto che il Parlamento è più una rappresentazione che una rappresentanza, e che sarebbe più giusto dire 'il pubblico' è sovrano in questo libero Stato in un libero show, mi sento obbligato a parlare di Costituzione".

"Lo spettacolo - prosegue il comico - è una sorta di assemblea in cui mi soffermo sulla frattura tra quello che c'è scritto sulla Costituzione e quello che viviamo. Un buco nero che crea uno spiazzamento, superato il quale si può vedere cosa cambiare. La tattica è quella di usare tutto quello che ho a disposizione per comprendere gli articoli su cui ogni sera ci soffermiamo, dalle fiabe alle frottole al confronto con il pubblico. Solitamente partiamo dai principi fondamentali, poi vengono estratti tre numeri (il 21 ricorre spesso), a meno che il pubblico non abbia espresso qualche preferenza durante l'intervallo".

C'è poi un grande ispiratore che Paolo Rossi non nomina mai, chiamandolo amichevolmente Gigetto. "Non sono invidioso, quando l'ho visto ho capito subito che era più bravo di me" ammette. "Uso i suoi testi, senza pagare diritti Siae, le sue cose migliori sono le sue improvvisazioni. Non posso inventare nulla che lui stesso non possa dire meglio su di sé". Ed è piuttosto evidente che "Gigetto" non è altri che il presidente del Consiglio.

Quindi Paolo Rossi scherza su un suo eventuale ritorno in televisione, di cui non sembra sentire la mancanza. "Sono riuscito a passare in tv perché c'era uno come Guglielmi che ha trovato il modo di farmi entrare. Ma dopo la mia ultima esperienza a Mediaset" dice riferendosi a Scatafascio del '97 su Italia 1 "ho passato tre mesi in ospedale, per un virus stranissimo che colpisce uno ogni 17 milioni di persone. Una malattia neurologica dovuta a stress". Poi annuncia: "Con Biagi, Santoro, Luttazzi stavamo preparando una prima serata a reti unificate. Fo ha detto che viene ma vuole fare il coreografo".